I sassi non se lo chiedono. Non se lo chiedono le piante. E neppure gli animali, che per tanti versi sono gli esseri più vicini a noi nel creato, sembrano domandarsi “Io, chi sono?” Una mucca non cerca di avere un’opinione di sé, un corvo non si arrovella a capire che cosa lo distingue da una rana. Ma l’uomo? L’uomo – disse il Swami per presentare il Vedanta – l’uomo si è sempre angosciato dall’incertezza della risposta.
La domanda nasce dall’esperienza. L’uomo si guarda attorno, vede il mondo e fa alcune considerazioni. La prima è che tutto ciò che vede è fuori da lui. Il mondo gli appare come distinto da sé, come qualcosa da cui si sente separato. Siccome tutto ciò che vede è infinitamente più grande di lui, l’uomo si sente misero, isolato, vulnerabile come una piccola onda che, intimorita dalla vastità dell’oceano, sogna solo di essere un’onda più grossa, più possente per non venire schiacciata dalle altre onde. In questa percezione di due entità distinte – colui che vede e ciò che viene visto, colui che conosce e ciò che viene conosciuto – è radicata la perpetua insoddisfazione dell’uomo. E la sua tristezza.
La seconda considerazione che l’uomo fa è che il mondo esiste già quando lui lo vede. Quel mondo poi è messo assieme in maniera così intelligente che lui non può esserne stato l’artefice. Non può esserlo stato suo padre, o suo nonno. Chi dunque? L’uomo si mette allora in cerca del Creatore, in cerca di un Dio, anche quello necessariamente fuori da sé, capace d’aver fatto l’intero universo, compreso l’uomo stesso.
“E’ così che nascono le religioni”.

Tratto da “un altro giro di giostra” Tiziano Terzani.

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